Anche in questo secondo "Giornale notturno" Jan Fabre insiste nel combattere una battaglia, ora meditativa ora furente, senza compromessi, per la bellezza. L'arte qui è davvero la misura di tutte le cose. Una misura che è nello stesso tempo ebbrezza dell'immaginazione, trionfo della pulsione e necessità della disciplina.
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Questo impasto di scatenamento e disciplina sembra manifestarsi specialmente nei modi della danza cui Fabre chiama implacabile i suoi "guerrieri della bellezza" e se stesso come disegnatore che ha innanzitutto da far "danzare" i polsi. Artista insonne, che vive la notte in tutta la sua elettrizzante e sessuale intensità, spirito sempre vigile, Fabre non smette di interrogarsi sul rapporto tra arte ed eccitazione. In lui, come scrive, vivono diversi "capitribù", diverse sembianze e gesti artistici, che lo tengono sveglio con il ritmo di un "caprone" che crea e di un dio che distrugge. Ma questa creazione-distruzione ha bisogno di precisione e rigore. "Disciplina: dà ai danzatori un senso di libertà. Disciplina: studia, decompone e decostruisce. Disciplina: meccanica del potere autoimposto. Disciplina: celebra la forza del corpo e sublima l'anatomia".
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